Una lucida analisi del mondo digitale attuale, che non si limita più a mescolarsi alla quotidianità, ma la influenza, riducendo le nostre capacità e condizionando la nostra realtà.
Nell’epoca dei social media – in cui l’individuo è sempre più inseparabile dalla piattaforma e il social networking diventa sinonimo di “sociale” -, tristezza, disagio e distrazione sembrano ubiqui. Non appena smettiamo di cliccare, navigare, scorrere e likare, ci resta solo un senso di noia, di torpore, di vuoto. È una questione di progettazione, di design: i nostri stati d’animo patologici sono codificati fin dal principio nell’architettura delle piattaforme. Peraltro, l’alone di meraviglia che un tempo circondava blog, app e social media si è dissolto. Swipare, condividere, dare il like sono ormai gesti vuoti, routine senz’anima. Abbiamo iniziato a togliere amicizie e follow, ma non possiamo cancellare i nostri account, perché equivarrebbe a suicidarsi socialmente. L’unica sarebbe eliminare tutto con un bel clic. E poiché non accade, ci sentiamo in trappola e non ci resta che consolarci con i meme.
Prima di disegnare alternative, sostiene Lovink, è indispensabile un’analisi tanto lucida quanto brutale sugli scenari digitali contemporanei, che consenta di comprendere a fondo i meccanismi di funzionamento e la psicologia delle piattaforme dei social media: dalle sensazioni di noia e malinconia agli atteggiamenti contraddittori verso i selfie, alla politica regressiva dei meme e alle (più o meno) nuove forme di violenza tecnologica.
Rifuggendo da strali moralistici, intenti pedagogici o sterili pulsioni regolatorie, il libro abbina una critica radicale di internet al tentativo di fare i conti con gli sbalzi d’umore – assai reali – degli utilizzatori delle piattaforme: una tagliente riflessione critica sui social media e sul nichilismo digitale.