Era il 2013 quando la sharing economy faceva la sua comparsa in Italia: un modo nuovo di intendere l’economia, che promuoveva la condivisione del bene invece del possesso, il riuso invece dell’acquisto. Da allora molte cose sono cambiate e la collaborazione oggi non è più solo fra persone che condividono un bene, ma fra individui che partecipano alla costruzione di un brand e alla progettazione della sua offerta e, così facendo, trasformano mercati e organizzazioni. È la community economy, l’evoluzione più interessante della sharing economy, una nuova forma di economia composta da organizzazioni (i community brand) che pongono al centro della loro strategia di business la comunità. Grazie all’approccio basato sul co-design, i community brand immettono sul mercato servizi che hanno già un pubblico di riferimento e come tali sono potenzialmente più competitivi di quelli proposti dagli attori tradizionali. Per soddisfare le nicchie a cui si rivolgono e favorire la loro produzione di valore i community brand non possono utilizzare i vecchi modelli gestionali, ma devono costruire la propria identità secondo una logica «abilitante», non più lineare ma a piattaforma, che affidi ruoli e responsabilità ai membri della community, attivando canali di comunicazione che rendano sempre più fluidi e permeabili i confini fra l’interno e l’esterno dell’azienda. In questa direzione il libro, che si rivolge a imprenditori e manager, cooperatori sociali, istituzioni e a tutti coloro che vogliono innovare il proprio rapporto con ogni tipologia di stakeholder, offre strumenti concreti per progettare un community brand, avendone ben chiari il ciclo di vita e i requisiti di scalabilità e sostenibilità.