Paul Collier, tra i più grandi esperti al mondo di diseguaglianze, viaggia tra i luoghi lasciati indietro nello spazio e nel tempo cercando gli elementi comuni al declino e alla rinascita. Per condividere, anche grazie a nuove intuizioni dalle scienze umane, un manifesto di speranza.
Ci sono luoghi lasciati indietro. Città, paesi e regioni che hanno visto il loro benessere evaporare o non decollare mai, investiti da un declino economico e sociale dal quale non sono riusciti a riemergere. Spazi che custodiscono storie di uomini e donne, capitale umano, industrie e competenze un tempo all’avanguardia e oggi obsolete. O che, in casi ancora peggiori, il loro potenziale non hanno mai avuto la possibilità di esprimerlo. Sono i luoghi raccontati da Paul Collier nel suo ultimo libro, in cui il noto economista dello sviluppo, tra i più grandi esperti mondiali di diseguaglianze, percorre un viaggio nello spazio e nel tempo alla scoperta dei territori che almeno una volta nella storia si siano ritrovati a essere “Poveri e abbandonati”. Il suo obiettivo? Individuare gli elementi comuni alla crisi e alla decadenza ma anche, laddove possibile, alla rinascita. Alla ricerca di lezioni che ci impediscano di continuare a perpetrare gli stessi errori.
L’analisi di Collier parte da un presupposto fondamentale: dagli anni Settanta il consenso occidentale in materia di politica economica si basa sul presupposto che qualsiasi area povera troverà un modo per progredire grazie alle forze di mercato. Se le economie locali non riescono a riprendersi e una località è diventata inadatta alle esigenze delle imprese, la forza lavoro può e deve trasferirsi in luoghi più prosperi. Non servono interventi esterni: in un modo o nell’altro, il problema si risolverà da solo. Ma non è così.
In “Poveri e abbandonati” Collier esamina come un approccio unico e indifferenziato alla politica economica abbia devastato intere aree e nazioni di tutto il mondo, rendendo la società molto più diseguale.
Ma l’analisi di Collier non si limita alla raccolta e alla sistematizzazione di evidenze passate. Lo studioso britannico cerca infatti di rielaborarle inquadrandole all’interno (o all’esterno) di un approccio multidisciplinare, in cui la psicologia comportamentale, la biologia evolutiva, le scienze politiche e la filosofia morale concorrono nello spiegare come sia possibile costruire un futuro globale più luminoso e inclusivo. A condizione, però, di affrontare le situazioni di crisi adattandosi alle esigenze delle singole economie nel segno di una maggiore devoluzione dell’agentività, intesa come facoltà di intervenire sulla realtà trasformando il contesto in cui si è inseriti.