Egea


 

Nonostante il prefisso, la crisi della nostra epoca non è permanente: Gordon Brown, Mohamed A. El-Erian e Michael Spence riflettono su come strutturare modelli di crescita rafforzati, approcci migliori alla gestione economica e una governance internazionale solida
 

I conflitti in Ucraina e Medio Oriente, le tensioni tra Stati Uniti e Cina. L’inflazione che ha raggiunto livelli mai visti da decenni e i prezzi dell’energia che hanno costretto alcune famiglie a scegliere tra gas e generi alimentari. Le calamità naturali sempre più frequenti e il riscaldamento globale, provocati dal cambiamento climatico. E un’intelligenza artificiale che minaccia di rivoluzionare il mercato del lavoro come non accadeva dai tempi della prima rivoluzione industriale. Se per “Permacrisi” intendiamo un prolungato periodo di instabilità e di insicurezza, derivato anche da una serie di eventi catastrofici, possiamo affermare con certezza che quella che il dizionario Collins ha definito la parola dell’anno del 2022 è ancora la più adatta per descrivere il mondo in cui viviamo. Eppure, nonostante il prefisso “perma” sembri suggerire il contrario, non si tratta di una situazione permanente. La strada per uscirne è lunga, certo, ma esiste ed è percorribile. Ed è quella che Gordon Brown – già Cancelliere dello Scacchiere e Primo Ministro del Regno Unito –  Mohamed El-Erian – presidente del Queens’ College dell’Università di Cambridge – e Michael Spence – premio Nobel per l’Economia – tentano di tracciare nel loro ultimo libro, portato in Italia da Bocconi University Press.  

L’idea di definire un piano per riparare un mondo a pezzi nasce su Zoom. Anche tre tra i pensatori più stimati ed esperti del nostro tempo, tra loro amici, si riunivano in conference call ai tempi della pandemia (altro tassello dell’attuale permacrisi…) e nelle loro conversazioni si trovavano a mettere a fuoco sempre più spesso una cascata di problemi: crescita stentata, risposte politiche inadeguate, peggioramento delle disuguaglianze, un’impennata dei nazionalismi e il declino della cooperazione globale. Dal confronto si rendevano conto che, se è vero che gli errori del passato hanno portato il mondo su una strada accidentata, è anche vero che può esistere un percorso migliore, diretto verso un futuro più luminoso.

Certo, è bene ribadirlo fin d’ora, questo futuro non può essere un ritorno a un passato che non tornerà più. Nell’approccio di Brown, El-Erian e Spence non c’è nulla di nostalgico. Al centro della permacrisi odierna ci sono approcci non adeguati alla crescita, alla gestione economica e alla governance: approcci difettosi, ma non irrecuperabili, che tuttavia necessitano di un vigoroso cambio di rotta.

Crediamo che sia possibile resettare molte delle condizioni attualmente sfavorevoli”, scrivono gli autori, e portare le economie nazionali e globali sulla steada di una prosperità elevata, inclusiva e sostenibile. Questo è nel potere di modelli di crescita rafforzati, di approcci migliori alla gestione economica e di una governance solida. Insieme, questi tre cambiamenti costituiscono un cambio di stato rispetto a mezzo secolo di dominio neoliberale, e offrono una base per cooperazione, crescita, gestione, equità e interesse personale”.

La nostra concezione di crescita economica, innanzitutto, dovrà iniziare a tenere conto di un mondo che non ha a disposizione risorse illimitate e che sarà definito da vincoli e limiti dell’offerta. Serviranno nuovi modelli che sfruttino la tecnologia per aumentare la produttività, ma senza sostituire l’attività umana, bensì potenziandola. Il mantra non dovrà essere la crescita a tutti i costi, ma la consapevolezza di quanto costa la crescita (per gli esseri umani e per il pianeta).

Da soli, tuttavia, i nuovi modelli di crescita non ci tireranno fuori da una situazione di “permacrisi”. Secondo gli autori, infatti, c’è anche bisogno di politiche di gestione economica migliori. Politiche economiche nazionali sensate richiedono una ricostituzione delle banche centrali, un quadro più chiaro del loro ruolo, nuovi modi di coordinare le politiche monetarie, fiscali e normative a livello nazionale, oltre l’integrazione delle priorità ambientali e di giustizia sociale nel processo decisionale  di natura economica. Nel loro insieme, questi cambiamenti  costituirebbero solo una parte di uno sforzo più ampio, in cui dovremo trovare il modo di ridefinire il settore finanziario in modo da renderlo un reale paladino dell’economia.

Ma nuovi modelli economici e di crescita resteranno fini a sé stessi senza un nuovo ordine globale che consenta loro di svilupparsi. Sono ormai evidenti i “movimenti sismici” che allontanano il mondo dai punti fissi a cui era stato ancorato negli ultimi trent’anni: un mondo unipolare (in cui l’America era l’unica superpotenza), iper-globalista (in cui le connessioni riducevano le distanze tra gli esseri umani) e neoliberale (segnato dalla deregolamentazione e dal capitalismo del libero mercato). Il pericolo è che ora, con l’affievolirsi dell’adesioni a regole esistenti, si perda il necessario equilibrio tra competizione e cooperazione. In quest’ottica, comprendere la minaccia all’ordine internazionale e adattare le regole a una nuova realtà è essenziale se si intende arrestare una dissoluzione che potrebbe rivelarsi disastrosa.

Il mondo sta cambiando davanti ai nostri occhi”, chiariscono gli autori. “E noi abbiamo il dovere di cogliere il significato dei cambiamenti in corso: primo, il passaggio da un mondo unipolare a uno multipolare; secondo, da un’iper-globalizzazione a una globalizzazione light; terzo, da un’era neoliberale in cui l’economia dettava le decisioni politiche a una neo-nazionalista, in cui la politica e la sicurezza nazionale dettano le condizioni economiche. Il mondo sta cambiando, ma che aspetto avrà questo cambiamento dipende da noi”.


 


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