Egea
Neomutualismo

La crisi innescata dalla pandemia può indicarci la strada per ricombinare le tradizionali forme di creazione del valore, dando vita a un’economia più inclusiva e a una società più giusta e sostenibile

In una società che moltiplica le connessioni ma indebolisce i legami, è necessario individuare nuove forme d’integrazione capaci di generare valore e significati, in modalità aperte al contributo di attori diversi. L’urgenza, già avvertita dagli osservatori più attenti, si è manifestata sotto gli occhi di tutti in questi anni tempestosi, in cui l’esperienza di un «male comune» ha reso evidente che cosa sia concretamente quel «bene comune» che non rappresenta – come alcuni vorrebbero far credere – soltanto una mera illusione. E come questo passi dalla convergenza e responsabilità di tutti. Di fronte alla domanda concreta di nuovi bisogni, Paolo Venturi e Flaviano Zandonai introducono un nuovo – radicale – livello di analisi e di azione.

Dopo aver indagato nei loro libri precedenti i modelli organizzativi delle “Imprese ibride” (2016) e la funzione coesiva della dimensione di luogo (in “Dove”, del 2019), gli autori si soffermano oggi su quella che potrebbe rivelarsi una risposta terza rispetto ai due poli delle transazioni di mercato e della redistribuzione pubblica. Rigenerato dalle crisi in atto, infatti, il mutualismo può rappresentare la chiave per ricombinare le tradizionali forme di creazione del valore nel segno di vere e proprie relazioni di reciprocità e di una forma di scambio profondamente cooperativa, in grado di tenere la comunità al centro.

Il mutualismo è un micro processo generativo che costituisce la «grana fine» di macro fenomeni e non è sinonimo di altri schemi di relazione – collaborazione, coordinamento, partnership ecc. – perché rimanda forme di supporto reciproco basate su una profonda interdipendenza tra gli attori, che richiedono di condividere non solo i mezzi ma i fini di un’azione che non può che essere «comune».

Immersi nello scenario di profonda incertezza innescato dalla pandemia di Covid-19, ci troviamo all’interno di un’intensa (e probabilmente lunga) fase di transizione. Secondo Venturi e Zandonai è proprio questo il momento migliore per sperimentare soluzioni innovative capaci di resistere al tempo, valorizzando le idee e i progetti che l’emergenza ha fatto nascere e che auspicabilmente potranno proporsi come prototipi di un nuovo welfare, di una nuova economia più inclusiva e di una società insieme più giusta e sostenibile.

Ed è proprio grazie a «chiamate all’azione» che hanno censito – e in qualche caso accompagnato – progetti di resilienza in risposta alla crisi pandemica, generando cambiamenti strutturali e più profondi, che sono emerse alcune aree di innovazione su cui agire per promuovere un potenziamento delle organizzazioni comunitarie, in particolare per quanto riguarda la capacità di impiego e assorbimento della principale risorsa tecnologica di quest’epoca: il digitale. Sull’onda di un nuovo attivismo e di profonde trasformazioni sociali e tecnologiche, quindi, il neomutualismo non agisce per costruire nicchie al riparo dai fallimenti dello Stato e del mercato ma per generare impatto sociale, partendo dalle opportunità offerte dall’innovazione e aprendo alla politica e all’economia la possibilità di rifondarsi intorno alla comunità.

“Per rispondere a questa sfida, tuttavia, le misure settoriali per l’innovazione non bastano più”, avvertono gli autori. “Occorre abilitare un processo ben più faticoso ma anche più promettente, che incentivi e favorisca la co-produzione e, su questa base, dar vita a percorsi che infrastrutturino un’economia consortile fatta di filiere e reti in grado di favorire la nascita di nuove startup caratterizzate dal digitale come mindset e non come mero supporto tecnologico, da assetti organizzativi che ricerchino intenzionalmente l’ibridazione e dall’orizzonte orientato verso missioni pubbliche”.

In quest’ottica, il saggio di Venturi e Zandonai non si limita a individuare gli spazi in cui si esprime la crescente domanda di legami sociali e da cui si generano i fenomeni di neomutualismo: dalle iniziative radicali e informali sorte dal basso, in particolare durante i lockdown pandemici, al prezioso bacino del terzo settore, passando per le imprese sociali e il capitalismo di territorio. Gli autori compiono infatti un passo ulteriore e arrivano ad analizzare processi e strumenti attraverso i quali è possibile fare mutualismo in modo nuovo. In primo luogo guardando a come il digitale trasformi la dimensione di prossimità e di welfare grazie a nuove piattaforme che riescono a catturare scambi mutualistici complessi e articolati. In secondo luogo approfondendo gli impatti del neomutualismo nell’evoluzione delle filiere – in grado di verticalizzare dal basso prodotti e servizi e di accettare le sfide poste delle catene del valore globali – dell’innovazione aperta, della costruzione di nuove infrastrutture con compiti di protezione sociale, e della valorizzazione della cultura come fattore di innesco e di trasformazione del welfare.

A rafforzare la speranza che proprio la cultura rappresenti il laboratorio ideale per sperimentare nuove economie e processi generativi per la società ci pensa un ospite particolare: il libro, infatti, è arricchito da un intermezzo di Michelangelo Pistoletto. Pagine asciutte ma dense di significato, in cui l’artista riflette sulla “Trinamica” con cui elementi diversi come pubblico e privato, naturale e artificiale, locale e globale, si combinano per dare origine a nuova vita.


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