A 20 anni dall’entrata in circolazione della moneta unica in Europa, la ricostruzione di una particolare edizione di Italia-Germania: la campagna diplomatica (e non solo) che ci ha portati nel nucleo dei fondatori dell’Euro
Tra il 4-3 del 1970, il 3-1 del 1982 e il 2-0 del 2006 c'è un'altra partita che ha visto fronteggiarsi
Italia e
Germania. E non è stata meno importante di quelle – leggendarie – affrontate sui campi di calcio. La posta in gioco non era la Coppa del Mondo ma l’
ingresso del Belpaese
nella moneta unica europea. Oggi tutti sappiamo com’è andata a finire e quali sono state le conseguenze – ancora in divenire – di una scelta epocale, ma non tutti ricordano quanto quella sfida sia stata complessa. A ricostruire “La partita dell’Euro” ci ha pensato
Mauro Battocchi, oggi Ambasciatore d’Italia in Cile e ai tempi giovane
diplomatico in servizio a Bonn. Testimone privilegiato ma anche attore, quindi, di una delle
campagne diplomatiche più complesse che il nostro Paese abbia condotto negli ultimi decenni: il negoziato che tra il 1996 e il 1998 ha portato l’Italia nel nucleo dei fondatori della moneta unica.
Allora come oggi, la Penisola cercava nell’Europa un’ancora di salvezza dopo aver sperimentato una crisi devastante. Il rischio di rimanere tagliati fuori dall’Unione che si andava costruendo intorno alla nuova moneta fu percepito collettivamente come una minaccia esistenziale e il Paese seppe reagire mobilitando tutte le risorse per continuare a condividere il proprio destino con il resto del continente.
Nel 1992, infatti, l’Italia aveva sfiorato la bancarotta e vissuto un’umiliante espulsione dal Sistema monetario europeo mentre implodeva la “Prima Repubblica”. Quando, pochi anni dopo, Germania e Francia s’incamminarono verso l’attuazione del Trattato di Maastricht, i conti del nostro Paese erano ben lontani dal rispettare i parametri di rigore fiscale, ma il Governo guidato da Romano Prodi – con Carlo Azeglio Ciampi alla guida del Tesoro–– decise comunque di tentare un’impresa che a molti osservatori poteva sembrare disperata, se non ai limiti del possibile: abbattere il deficit dal 7% al 3% del Pil entro il 1997 e, soprattutto, convincere i partner europei – Germania in testa – del fatto che non si sarebbe trattato di un risanamento temporaneo ma dell’inizio di un percorso che avrebbe reso l’Italia uno stato con finanze pubbliche sostenibili e un sistema Paese capace di competere sullo scenario globale senza usare scorciatoie (come la “periodica” svalutazione della lira).
Di queste vicende Battocchi ci restituisce un racconto, vivace come un romanzo, che ai numeri e ai criteri finanziari aggiunge una buona dose di umanità, tratteggiando un capitolo di storia nazionale non abbastanza noto sebbene costituisca uno snodo cruciale nel nostro essere europei. Accompagnando il lettore tra i volti e i pensieri dei protagonisti, l’autore mostra i “dietro le quinte” di uno sforzo corale teso a far conoscere un’Italia che, a dispetto della fase di rapida trasformazione che stava attraversando, restava ancora largamente incompresa a nord delle Alpi.
Tra la Bonn coi semafori sempre rossi nella nebbia e la Francoforte delle grandi banche, Battocchi accompagna il lettore tra i volti, i pensieri e le angosce della Germania di quegli anni, restituendo con oggettività anche il punto di vista degli interlocutori tedeschi. Dai giganti della storia politica europea, come Helmut Kohl, ad astri nascenti che stavano ponendo le basi per una carriera che avrebbe lasciato un segno globale – spiccano tra loro un’Angela Merkel allora Ministro dell’Ambiente e un Mario Draghi nelle vesti di Direttore generale del Tesoro – passando per funzionari, giornalisti, banchieri, imprenditori: sono stati tanti i giocatori impegnati in campo, in un groviglio di relazioni abilmente intessuto (o districato) anche grazie al contributo di Enzo Perlot, allora Ambasciatore d’Italia in Germania e tra i principali registi della partita. È soprattutto attraverso la sua figura, infatti, che il diario di quegli avvenimenti mette in luce la duttilità e il valore della nostra diplomazia, dimostrando quanto questo strumento – antico e moderno – sia essenziale per la tutela degli interessi nazionali e la gestione di una politica estera credibile ed efficace: specie per un Paese che, oggi come allora, deve necessariamente alzare lo sguardo al di là dei propri confini senza perdere di vista l’Europa, nemmeno (o forse soprattutto) nei momenti più difficili.
“Nel ripercorrere le vicende che ho raccontato in questo libro”, commenta Battocchi, “viene a galla il tema cruciale della modernizzazione del Paese. L’ingresso nell’Euro é equivalso ad accedere ad un campionato più difficile, più tecnico, più veloce, pena la retrocessione. A vent’anni di distanza, la sfida per il Sistema Paese di saper sciogliere i propri nodi strutturali per competere a livello globale rimane intatta. Il ripercorrere le vicende di quell’epoca mi auguro stimoli a riflettere su come ciascuno di noi puó fare la sua parte.”