Egea


In una società alla disperata ricerca di sostenibilità, il concetto di economia circolare rischia di perdere nitidezza: il libro di Davide Chiaroni cerca di mettere ordine indicando alle imprese italiane la strada da percorrere per affrontare una rivoluzione industriale e destinata a cambiare il mondo 

 

Il rischio più grande che proprio ora si corre nell’economia circolare è che la sua popolarità ne annacqui il significato originario, che tutto ciò che è riconducibile in senso lato al tema della sostenibilità – il riciclo, la raccolta differenziata, la produzione di energia da rinnovabili – venga «magicamente» trasformato in economia circolare… e che in un mondo dove tutti sono circolari, nessuno lo sia più, o meglio nessuno (o solo pochi) lo siano davvero”.
 

Con queste parole Davide Chiaroni – professore ordinario di Strategia e Marketing al Politecnico di Milano – spiega ai lettori perché abbia deciso di scrivere il libro “L’impresa circolare” (Egea2022). Mai quanto oggi, infatti, è fondamentale evitare che un tema sempre più centrale per lo sviluppo dell’economia globale – e per la sua sostenibilità – venga banalizzato. Con il rischio di perdere una grande opportunità. 
 

Il concetto di economia circolare è ormai entrato nell’uso comune: basti pensare che una ricerca su Google effettuata all’inizio del 2020 restituiva oltre 98.700.000 risultati in tema, mentre a marzo 2022 i risultati erano diventati 427.000.000. Tuttavia se ne parla applicandolo a contesti imprenditoriali e di mercato molto diversi tra loro, facendo sì che la definizione perda nitidezza e si confonda per esempio con la sostenibilità. Il tema è ben più complesso: interessa sia la dimensione macroeconomica sia quella micro, non riguarda solo la valorizzazione dei prodotti giunti al termine del loro ciclo ma anche il loro stesso design, per cui devono coesistere circolarità e innovazione. Nel mezzo, tra ecosistema e prodotto, a livello cioè dell’impresa, si apre il gap che il libro di Chiaroni intende colmare, superando il divario tra una definizione troppo “stretta” di economia circolare e una troppo “ampia”, che rischia di far ricadere tutto sotto questo cappello (almeno finché resta di moda).  
 

Che cos’è dunque l’impresa circolare? Quali gli elementi distintivi del suo modello di business? Quale ruolo gioca nella filiera circolare? In che senso occorre oggi una piattaforma circolare all’interno della quale business e comportamenti di segno opposto possono trovare la compensazione necessaria per una sostenibilità davvero di lungo termine? E, ancora, quale ruolo giocano le tecnologie digitali? E la politica con le sue scelte? 
 

L’economia circolare è un’economia che si basa sulla massimizzazione del valore delle risorse nel tempo, attraverso il ridisegno dei prodotti, dei processi e dei modelli di consumo e proprietà. 
 

Intrecciando analisi e storie di aziende piccole e grandi, appartenenti a vari settori, il libro esplora diversi approcci all’economia circolare individuando gli archetipi a cui imprese tra loro molto diverse possono essere ricondotte, in un viaggio in cui numeri, nozioni e strumenti sono sempre accompagnati dalla concretezza di racconti concreti.  
 

Come quello di Patagonia – che con il progetto Worn Wear invita i suoi clienti a riparare i propri capi di abbigliamento o a rimetterli in commercio, piuttosto che eliminarli – o di Renault – arrivata a produrre scatole del cambio in grado di essere estratte da auto giunte a fine vita per essere utilizzate come pezzo di ricambio per vetture ancora perfettamente funzionanti – passando per il meccanismo di affitto dei mobili introdotto da Ikea e le capsule da caffè durevoli prodotte dalla startup italiana Waycup. Fino ad arrivare al caso “da manuale” di Desso, azienda olandese specializzata in moquette per uffici che nel giro di sette anni ha completato una completa transizione “circolare” con l’obiettivo di ridurre la distanza tra il tempo di vita utile dei propri prodotti e quello – almeno tre volte maggiore – delle fibre con cui venivano realizzati. 
 

Affrontare”, commenta Chiaroni, “l’economia circolare ‘dalla coda’ – ossia una volta che le risorse abbiano terminato il loro ciclo di vita sotto forma di prodotto/servizio e che siano quindi riciclate per essere avviate, dopo trasformazioni più o meno complesse, a un nuovo ciclo – è ovviamente possibile, ma sicuramente meno efficace che aggredire il tema ‘dalla testa’, dal momento in cui nasce addirittura l’idea del prodotto/servizio, là dove risiede il vero potenziale di creazione di un’economia autenticamente circolare”. 


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