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Commercio, infrastrutture, diritto, migrazioni, social media: nel libro "L'era della non-pace", il politologo britannico Mark Leonard spiega perché le connessioni che uniscono il nostro mondo siano le stesse che lo stanno disgregando.


 
Anche la pace ha il suo lato oscuro. E, a forza di non volerlo vedere, spostando lo sguardo altrove, ha finito per diventare troppo grande per essere ignorato. Quella che oggi si allunga sulle nostre vite non è soltanto l’ombra della guerra in tra Russia e Ucraina in Europa orientale, ma è quella della “non-pace”. Si staglia su un commercio schiacciato dalle sanzioni, su infrastrutture diventate l’epicentro di controlli tecnologici e ricatti sempre più opprimenti, su flussi migratori strumentalizzati per fini politici. E su un mondo digitale che doveva unirci, ma che infine ha generato frammentazione. Sono i segni più evidenti – allo stesso tempo cause e sintomi – de “L’era della non-pace” descritta dal politologo britannico Mark Leonard nel suo nuovo saggio, in cui cerca di capire perché la “connettività” alla base di un mondo globalizzato porti, inevitabilmente, al conflitto.

Il mio è un libro conciso basato su un’idea molto semplice: le connessioni che uniscono il mondo sono le stesse che lo stanno disgregando”, spiega l’autore, direttore e co-fondatore dello European Council on Foreign Relations. “Ho iniziato questo processo pensando che avrei scritto un’accorata apologia del mondo aperto, ma più scavavo in profondità più il mio pensiero diventava complesso. Alcune domande sono diventate veri e propri assilli. E se il processo che ci unisce fosse in realtà la causa della segregazione e del conflitto? E se le crescenti fratture nel mondo globalizzato non fossero un guasto del sistema ma una sua caratteristica intrinseca?”.

Con il crollo dell’Unione Sovietica alla fine del 1991, il pianeta diviso che viveva all’ombra della bomba ha lasciato il posto a un mondo di interconnessione e interdipendenza. Per alcuni l’evento preannunciava la fine della storia, con un mondo largamente unito intento a perseguire i vantaggi della globalizzazione. Eppure le nascenti connessioni tra i Paesi non hanno eliminato le tensioni, anzi. Le lotte di potere dell’era geopolitica persistono tuttora, ma in una forma nuova. E, per combatterle, i tre grandi “imperi della connettività” (Usa, Cina e Unione Europea) e il “quarto mondo” (Russia in primis) usano soprattutto “armi” diverse da quelle convenzionali.

Le guerre commerciali, i dazi, le sanzioni e la concorrenza normativa hanno trasformato in strumenti offensivi i legami economici mondiali. Le nostre nuove infrastrutture globali, fisiche e virtuali, consentono ai Paesi di competere tra loro aumentando i collegamenti con altri paesi e negandoli ai rivali. Anche i movimenti mondiali di persone sono una fonte di potere, in quanto alcuni Stati strumentalizzano i flussi di rifugiati o addirittura mobilitano le loro diaspore all’estero. Persino il diritto internazionale è stato trasformato in un’arma, poiché gli Stati rivali lo manipolano per conseguire obiettivi politici invece di usarlo per arginare i loro scontri.

E la rete? Rappresenta il terreno perfetto per il diffondersi di una cultura della non-pace. Aprendoci al confronto con le vite di tutti, la connettività digitale sta facendo emergere il lato competitivo e narcisistico della natura umana, portando a società molto più polarizzate, alimentando un’epidemia di invidia e insinuando una sensazione di perdita di controllo favorita da un ecosistema di giorno in giorno più incomprensibile in quanto non governato da esseri umani, ma da algoritmi.
 

Le forze che uniscono le persone sono diventate campi di battaglia, e ogni potenza ha una strategia diversa per combattere in questa nuova era di non-pace”.

 
Secondo Leonard anche la guerra in Ucraina – che ha rimesso l’Europa di fronte ai fantasmi della Seconda Guerra Mondiale – può essere compresa al meglio solo se la si interpreta come un moderno “conflitto di connettività” in una nuova epoca di non-pace. “Non si tratta, come alcuni hanno sostenuto, del ritorno al passato bellicoso dell’Europa, ma di un segno dell’instabilità globale a venire”.

Ma come reagire, dunque, prima di arrivare al punto di rottura?

Non è troppo tardi per cambiare rotta”, afferma l’autore. “È una questione di autoconsapevolezza. Invece di trattare i nostri conflitti come forze esterne, dobbiamo capire che traggono origine dal nostro stile di vita e dalle nostre scelte (non solo le grandi decisioni ma anche quelle piccole che neanche ci accorgiamo di aver preso). Analizzando noi stessi possiamo prepararci ai problemi e capire quali opzioni ci restano. Il nostro obiettivo non deve essere quello di fare a meno della connettività, ma di disarmarla. Dobbiamo cercare di eliminare il veleno dall’interdipendenza o almeno imparare a coesistere con poteri motivati da valori che non condividiamo.
La sfida maggiore durante la Guerra fredda”, riflette Leonard, “è stata quella di controllare la proliferazione delle armi nucleari prima che mettessero fine all’esistenza dell’umanità. La sfida della nostra epoca non è controllare il flusso di armi, ma disarmare la connettività stessa. La differenza tra un’epoca di opportunità senza precedenti e il suicidio collettivo dell’umanità sta nelle scelte politiche che faremo nei prossimi anni. Il futuro è nostro e possiamo plasmarlo”.
 


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