Nel clamore scatenato dall’avvento dell’AI generativa, Stefano da Empoli ripercorre la storia della rivoluzione in atto e riflette sulle implicazioni economiche future. Con una convinzione: la complementarietà uomo-macchina sarà cruciale per massimizzare i benefici e ridurre i rischi
Da un lato chi manifesta preoccupazioni sul futuro dell’umanità, dall’altro chi crede che l’hype si risolverà in una bolla di sapone, come già accaduto per diverse “rivoluzioni” innescate nella Silicon Valley. Difficile, nel clamore mediatico degli ultimi mesi, mantenere una posizione equilibrata nei confronti della nuova realtà con cui ci troviamo – volenti o nolenti – a convivere: l’intelligenza artificiale generativa. Eppure, l’oscillazione tra i due estremi offusca quella che, secondo Stefano da Empoli, sarebbe l’unica visione corretta: un’AI al servizio della specie umana perché in grado di farsi complementare ad essa anziché sostituirla. Su questo “pensiero meridiano” l’autore – presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com), think tank leader in Italia e in Europa sui temi del digitale e dell’innovazione – costruisce il suo ultimo libro: “L’economia di ChatGPT – Tra false paure e veri rischi”, edito da Egea e ora in libreria.
Fino al 29 novembre scorso, la maggior parte di noi dormiva sonni tranquilli: la presunta “intelligenza” delle macchine sembrava ben lungi dal poter competere con la nostra in termini di creatività, affabulazione e proprietà di linguaggio. Qualcuno, anzi, già parlava di nuovo inverno dell’IA dopo le promesse non mantenute dello scorso decennio, auto a guida autonoma su tutte. Poi è arrivata ChatGPT, e le cose sono cambiate. La creatura di OpenAI ha colpito l’immaginazione delle persone comuni per due motivi fondamentali. Nessuno – tranne forse alcuni ricercatori – si aspettava un livello qualitativo così alto. È vero che a volte farnetica e spesso dice banalità ma ChatGPT risponde a un incrocio tra sofisticazione linguistica e velocità di esecuzione strabiliante, il tutto con una facilità d’uso senza precedenti. Chiunque, oggi, può interrogare la macchina.
Immaginavamo il dialogo con le macchine come qualcosa di riservato a una classe di iniziati. L’informatico in questo senso era come il sacerdote nella Chiesa cattolica. ChatGPT ha rappresentato per l’IA la sua riforma protestante.
Oggi non sappiamo ancora tutto su potenzialità e difetti dell’IA generativa e soprattutto possiamo solo intuirne le traiettorie future di crescita. Gli stessi scienziati sono molto divisi tra chi pensa che l’AGI (artificial general intelligence) sia questione di pochissimi anni e chi invece ritiene che potrebbe non arrivare mai.
Ma come siamo giunti a questo punto? E, soprattutto, verso quali orizzonti stiamo navigando? Da Empoli racconta con piglio narrativo questa rivoluzione e, soprattutto, si sofferma sulle sue possibili implicazioni economiche nei prossimi anni e decenni. Con benefici che potrebbero essere enormi se sapremo evitare alcuni errori, il primo dei quali è temere che in prospettiva le macchine diventino come gli esseri umani oppure all’opposto deificarle, elevandole su un piedistallo per noi irraggiungibile.
“La tecnologia di cui stiamo parlando”, chiarisce da Empoli, “è una creazione umana realizzata per aiutarci a ottenere qualcosa che in sua assenza riuscivamo a fare peggio e soprattutto meno velocemente. Dunque non può che trattarsi di macchine altamente perfettibili e che pertanto vanno giudicate per quello che sono. Spetta a noi umani capire come utilizzare l’AI al meglio. Se, ad esempio, la riteniamo un sostituto dei lavoratori, rischiamo effettivamente una disoccupazione elevata o una compressione dei salari che a quel punto saranno costretti a competere con il costo delle macchine. Se sapremo invece vederla come un complemento in grado di migliorare le prestazioni lavorative, creeremo le premesse per una transizione gestibile, nella quale si faranno cose diverse da prima ma in media con un vantaggio sia per i lavoratori sia per le imprese”.
“Se facciamo le scelte giuste, i benefici potranno essere immensamente superiori ai costi e, mentre ci adoperiamo per minimizzare i rischi presenti, che ci sono sicuramente, possiamo lavorare per non incorrere in quelli eventualmente esistenziali o catastrofici al momento futuribili”.
Lasciando da parte la fantascienza, insomma, da Empoli ci spiega perché occorre concentrarsi sui veri rischi di oggi: non solo la potenziale perdita di posti di lavoro ma anche le violazioni della privacy, i pericoli per la democrazia, le possibilità di inganno enormemente raffinate e senza limiti di scala ai danni di Stati, imprese e ignari cittadini, senza dimenticare le sfide alla proprietà intellettuale come l’abbiamo conosciuta finora. Nonché, non ultima, la totale assenza di Europa e Italia dal gruppo di testa che sta facendo la storia dell’IA.
Perché Bruxelles, che nel 2018 era partita un po’ in ritardo (ma con la necessaria lucidità) con la strategia e il piano coordinato IA, immaginando le regole e gli investimenti come due pilastri che si rafforzavano a vicenda, ha finito per scommettere quasi tutto sulle prime anziché sui secondi. E stavolta – considerando che la posta in gioco è una tecnologia fondamentale per ottenere una leadership globale economica, e soprattutto geopolitica – il rischio di perdere il treno verso il futuro è concreto.