Egea

Viviamo tempi complessi: nel libro "L'avvenire della memoria", Antonio Calabrò ci invita a riflettere sulla nostra concezione di progresso per superare le crisi e costruire migliori equilibri politici, civili, sociali ed economici. Partendo da quell’umanesimo industriale al centro della storia del nostro Paese


Dalla recessione alla pandemia, dal cambiamento climatico agli squilibri geopolitici, con i venti di guerra arrivati a spirare nel cuore dell’Europa. Viviamo tempi difficili che almeno una volta ci hanno portati a domandarci: dove stiamo andando? E, soprattutto, sarà possibile invertire la rotta? Gli eventi degli ultimi anni, infatti, spingono con urgenza verso un cambio di paradigma della nostra concezione di progresso, una svolta che appare sempre più necessaria per progettare un futuro che si fondi davvero su migliori equilibri politici, civili, sociali ed economici. Un percorso complesso, a cui Antonio Calabrò cerca di dare il proprio contributo con il libro “L’avvenire della memoria – Raccontare l’impresa per stimolare l’innovazione” (Egea, 2022), in cui l’ossimoro del titolo racchiude la volontà di unire una necessaria consapevolezza storica allo sguardo visionario verso un domani migliore. 
 

Giornalista e scrittore, Direttore di Fondazione Pirelli e Presidente di Museimpresa, negli ultimi anni Calabrò non ha soltanto raccontato i mutamenti della cultura d'impresa, ma li ha inseriti in una cornice cognitiva attraverso la quale sono emersi i tratti di quell’umanesimo industriale che – nonostante venga spesso ignorato, o quantomeno sottovalutato – ha contraddistinto la storia economica del nostro Paese. Un valore, questo, che se abbinato alla forza innovativa di un dinamico capitale sociale e allo slancio verso il futuro rende le imprese attori fondamentali nella ridefinizione della realtà che ci circonda, in un percorso culturale ed economico che sia capace di usare non solo le leve delle conoscenze scientifiche e delle più sofisticate applicazioni tecnologiche, ma anche quelle della bellezza. Trasferendo, insomma, il concetto di “bello e ben fatto” tipico della tradizione manifatturiera italiana a un orizzonte più ampio, in cui produttività e inclusione sociale, competitività e sostenibilità possano davvero convivere. 
 

Secondo Calabrò, tuttavia, “fare” non basta. Occorre “fare sapere”. Ed è in quest’ottica che l’impresa – spesso snobbata se non osteggiata dalle narrazioni mainstream– può regalare spunti inaspettati. Dalle riviste aziendali agli archivi che custodiscono una solida cultura politecnica, dal teatro alla musica, dalla promozione della ricerca di base all’utilizzo dei nuovi strumenti digitali: il saggio è un viaggio attraverso luoghi, testi, opere e idee in cui artescienza ed economia sembrano respirare all’unisono. Come nel caso (esemplificativo) de “Il canto della fabbrica”, in cui il violino di Salvatore Accardo e gli archi dell’Orchestra da Camera Italiana interpretano i ritmi della manifattura digitale degli anni Duemila, tra computer, robot e intelligenza artificiale. 
 

Parole, immagini, note e tecnologie animano un racconto consapevole, che pone una sfida al mondo della comunicazione: rilanciare una rappresentazione attendibile delle trasformazioni in corso, alla ricerca delle radici di quella cura per la bellezza che si fa valore identitario, in grado di generare una positiva forza economica di sviluppo. Anche e soprattutto in Italia. 
 

L’orizzonte cui guardare è quello di un ‘capitalismo inclusivo’, attento a conciliare libertà economiche e giustizia sociale nella cornice della democrazia liberale”, spiega l’autore. “Le crisi aiutano e accelerano i percorsi di cambiamento. Sono taglienti, drammatiche, dolorose. Distruggono equilibri e sicurezze, provocano fratture, alimentano ansie e paure. Eppure, costringono, nella reazione, a sciogliere nodi che non avevamo saputo o voluto sciogliere, stimolano riforme, producono nuove idee. C’è un rischio da evitare, la tentazione della ‘retrotopia’, l’attitudine a collocare nel passato l’immaginazione di una società migliore. Tutto il contrario dell’attenzione al futuro. Ecco il punto: l’impegno, etico e civile, a costruirlo, quel futuro. E a farlo anche in un mondo, quello dell’impresa, che per sua profonda natura non può non vivere se non lavorando sull’onda dei cambiamenti, delle grandi e piccole trasformazioni delle produzioni e dei servizi, dei consumi e dei costumi, degli stili di vita e degli assetti sociali”. 


Acquista il libro