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Nel loro nuovo saggio, Oreste Pollicino e Pietro Dunn indagano il rapporto tra tecnologie emergenti e valori democratici a partire da due campi di azione critici: la lotta alla disinformazione e la tutela del pluralismo e del principio di uguaglianza di fronte alla discriminazione algoritmica.



Dall’Europa alla Cina, passando per gli Stati Uniti: gli ultimi mesi si sono caratterizzati per una vera propria (rin)corsa alla regolazione del nuovo ecosistema digitale, rivoluzionato dall’avvento di un’intelligenza artificiale che rappresenta una miscela esplosiva tra opportunità di crescita – economica, tecnologica e scientifica – e rischi per la società e la democrazia. Fenomeni come la disinformazione e la discriminazione algoritmica possono infatti minare nel profondo i pilastri su cui si fonda lo stato di diritto, ma la loro regolamentazione non appare affatto semplice. Come trovare, quindi, il giusto equilibrio tra “Intelligenza artificiale e democrazia”? A questa domanda tenta di rispondere il nuovo saggio di Oreste Pollicino e Pietro Dunn, edito da Bocconi University Press e da pochi giorni in libreria.

Rispettivamente professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Bocconi e dottore di ricerca in Law, Science and Technology presso l’Università di Bologna, Pollicino e Dunn indagano il rapporto tra tecnologie emergenti, innovazione e valori democratici come dignità, pluralismo e uguaglianza, oggi sotto stress. Nel farlo, gli autori evitano pregiudizi negativi o positivi sull'impatto delle nuove tecnologie. “Siamo pienamente convinti”, spiegano, “che i due orientamenti meno indicati per valutare il rapporto tra tutela dei diritti e valori fondamentali e nuove tecnologie siano quello di matrice distopica e quella di base utopistica”.

Lo studio degli autori parte tuttavia da un presupposto chiaro: definire l'intelligenza artificiale (IA) come una mera tecnologia sarebbe riduttivo. L'IA rappresenta un ecosistema digitale complesso, dove la quantità di dati disponibili e la potenza computazionale svolgono un ruolo cruciale, ma a mancare è il “fattore umano”. Per indagare il potenziale impatto dell’automazione sui valori democratici, quindi, gli autori individuano due campi di azione tanto critici quanto privilegiati.
Il primo è la disinformazione, ovvero la diffusione intenzionale di contenuti falsi, che sfida i principi del “libero mercato delle idee” e richiederebbe una regolamentazione armonizzata tra Paesi occidentali, sebbene le divergenze tra Usa ed Europa rendano difficile una soluzione condivisa.

Il secondo riguarda la discriminazione algoritmica e il principio di uguaglianza. Basandosi su codici e dati che riflettono bias esistenti, l’IA non è una tecnologia neutrale e potrebbe perpetuare gerarchie e dominazioni già esistenti. È essenziale, quindi, stabilire un quadro legale che garantisca la tutela delle categorie discriminate e minoritarie per mantenere una società democratica e pluralistica.

A complicare lo scenario globale, tuttavia, c’è il crescente strapotere delle Big Tech. L'influenza delle piattaforme digitali, attraverso il loro potere algoritmico, ha trasformato i soggetti privati in veri e propri poteri  con un ruolo  para-costituzionale, con implicazioni significative per la sfera pubblica e per la libertà di espressione. La digitalizzazione e la profilazione massiva hanno creato nuove forme di potere e controllo, sollevando questioni critiche riguardo alla protezione dei diritti fondamentali.

La reazione europea a questi sviluppi ha visto un aumento della regolamentazione, come evidenziato dal GDPR e dalle normative sul digitale, ma anche una frammentazione delle leggi e un rischio di isolamento rispetto ad altre regioni.
Secondo gli autori, di fronte a uno scenario in così rapido e profondo cambiamento, il “costituzionalismo digitale” europeo dovrebbe entrare in una nuova fase, che non implichi esclusivamente una semplice celebrazione dei diritti fondamentali dei cittadini ma che sia in grado di bilanciare la regolamentazione con la protezione dei diritti e la circolazioen dei dati evitando un’eccessiva frammentazione e mantenendo un dialogo con gli altri attori della scena globale, Usa in testa. Solo così, l’Europa potrà da un lato evitare di chiudersi in una fortezza inespugnabile che disincentivi lo sviluppo tecnologico, la crescita economica e il progresso sociale, dall’altro preservare dignità, democrazia, stato di diritto, pluralismo, uguaglianza, rispetto dei diritti umani. Ovvero, i valori che l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea pone quale bussola per navigare verso il futuro.

 


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