Egea


 

Marco Ventoruzzo ci accompagna tra botteghe di pittori, gallerie di collezionisti e corti dei tribunali, in un viaggio alla scoperta del rapporto tra diritto e arti figurative scandito da aneddoti curiosi e retroscena clandestini.



 Nel 1963, mentre viveva a Londra con Richard Burton, Liz Taylor acquistò all’asta da Sotheby’s un van Gogh che negli anni Trenta era appartenuto a una collezionista tedesca. Gli eredi, negli anni Novanta, citarono l’attrice hollywoodiana reclamando il quadro e sostenendone l’illegittima confisca da parte del regime hitleriano. La Corte diede ragione a Liz Taylor. Di storie come questa il mondo dell’arte ne nasconde a decine e Marco Ventoruzzo – docente di Diritto commerciale all’Università Bocconi e appassionato d’arte – si diverte a raccoglierne e raccontarne diverse nel suo saggio “Il van Gogh di Liz Taylor - Falsi, furti e potere: le regole del mercato dell’arte”. Un saggio in cui aneddoti curiosi e retroscena clandestini scandiscono – come fossero capitoli di un unico legal thriller che si dipana tra botteghe di pittori, gallerie di collezionisti e corti dei tribunali – il viaggio del lettore alla scoperta del rapporto tra diritto e arti figurative nella sua evoluzione storica.

Ventoruzzo si approccia al tema in modo leggero, semplice ma non troppo semplicistico, prendendo spunto da una serie di casi giudiziari, controversie, contratti, episodi, opere più o meno noti. Così, per comprendere meglio le principali “patologie” del mercato dell’arte, conosceremo le storie romanzesche dei falsari Han Van Meegeren – il cui “Vermeer” finì nella collezione del gerarca nazista Hermann Goering – e Mark Landis – che, travestito da prelato, omaggiò delle sue copie numerosi, e ignari, musei degli Stati Uniti – e ripercorreremo i passi dei celebri furti della “Gioconda” di Leonardo e del “Ritratto del Duca di Wellington” di Goya, quest’ultimo da parte di un pensionato arrabbiato con il governo inglese.
Ci interrogheremo sul vero significato di arte con le sperimentazioni di Marcel Duchamp, Constantin Brâncuşi e Joseph Beuys (sorprendendoci di fronte al destino di alcune delle loro opere…) e ci avventureremo dietro alle quinte delle Case d’aste per comprenderne il funzionamento, scoprendo come e perché i due colossi Sotheby’s e Christie’s abbiano finito per giocarsi una collezione di opere di Cézanne, Sisley, van Gogh e Picasso a… morra cinese.

Un viaggio tanto curioso quanto concreto, insomma, per rispondere anche a molte altre domande - cosa distingue l’arte da altri prodotti dell’ingegno? Quali sono i meccanismi della censura e quali le regole del mercato? Quali le differenze tra arte ufficiale e sovversiva? Quali le tecniche per smascherare un falso? – e comprendere il funzionamento di un mondo affascinante che non vive solo di colpi di genio e ispirazione.

Il diritto è estremamente rilevante per artisti, collezionisti, musei e fruitori dell’arte”, spiega Ventoruzzo. Nel corso della storia ha a volte ostacolato e a volte promosso lo sviluppo artistico, ma tra le due discipline è sempre esistito un dialogo, per quanto spesso nascosto e indiretto.

Se si vuole tracciare una linea evolutiva possiamo riconoscere che, almeno in alcuni Paesi e nella traiettoria della storia giuridica e artistica dell’Occidente, il cammino percorso ha tutto sommato portato verso una sempre maggiore libertà espressiva. Certo, vi sono stati e vi saranno nel futuro passi indietro e periodi bui”.

Le riflessioni di Ventoruzzo non si limitano solo al passato, ma gettano uno sguardo anche alle prospettive future del settore e alle sfide che già oggi incombono all’orizzonte. Su tutte, l’uso di un’intelligenza artificiale capace di “creare” nuove opere basandosi sui lavori di artisti in carne e ossa. Con il rischio di svilire il valore generato dall’ingegno umano, già messo a dura prova da altri meccanismi della rete.

Occorre fare qualcosa?”, si interroga l’autore. “Diverse le proposte e gli embrioni di disciplina: da chi ritiene che non sia necessario far nulla, a chi sostiene che i sistemi di intelligenza artificiale dovrebbero pagare una somma di denaro alle «fonti» che utilizzano, spesso online, per i materiali sui quali imparano a imitare, a chi infine osserva che il giusto compromesso sarebbe semplicemente imporre che tali lavori riportino chiaramente l’avvertenza relativa alla loro genesi, con adeguate sanzioni in caso di mancata disclosure.

Le dimensioni potenziali del fenomeno di una IA che impara a scrivere «nello stile» di un celebre romanziere o a realizzare immagini confondibili con quelle di un famoso illustratore è molto rilevante e richiede probabilmente un diverso paradigma. Anche dichiarando il modo in cui il lavoro è realizzato, esiste oggi il concreto rischio di vanificare quei diritti di privativa che sono anche il carburante dell’innovazione e del lavoro intellettuale.

Non è allora affatto insensato”, conclude Ventoruzzo, “ritenere che l’utilizzo di certe fonti per consentire l’apprendimento della macchina debba essere regolamentato e/o valorizzato”.

 

 


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