Egea

Nel suo nuovo saggio, Severino Salvemini cerca di comprendere l’inafferrabile “composizione chimica” che rende uniche le nostre imprese nel mondo, attraverso il racconto di 53 storie esemplari.

 

L’Italia è la patria della bellezza, tempio dell’arte e di una cultura millenaria. “Bel Paese” per antonomasia, il nostro è anche il paese del “ben fatto”, culla di quella passione per il fare che i nostri artigiani hanno saputo rendere uno stile di vita e, al tempo stesso, la più autentica ragione di successo del Made in Italy.  
 

Ma che cos’è il Made in Italy? Fermarsi allo slogan ci impedisce di cogliere i tratti distintivi di un fenomeno complesso che ha permesso alle nostre imprese di temperare il tecnologismo della globalizzazione con un nuovo umanesimo all’insegna del gusto e della creatività, e di sostituire alla filosofia finanziaria anglosassone uno stile di management tutto italiano.  
 

Per comprendere questa “inafferrabile composizione chimica”, Severino Salvemini – professore emerito di Organizzazione aziendale presso l’Università Bocconi di Milano e Senior Professor di Organization Design presso SDA Bocconi School of Management – sceglie di raccontare in un libro 53 storie esemplari di aziende che hanno fatto dell’eccellenza la loro bandiera. Dalle pagine de “Il quid imprenditoriale” emerge un ritratto a tutto tondo degli ingredienti del primato internazionale del Made in Italy: non solo prodotti di qualità e alta gamma, la cui progettazione implica una forte valenza estetica e un “saper fare” che pochi altri Paesi sanno attivare, ma anche una classe imprenditoriale eccellente che sa aggiungere alla razionalità dell’operare l’intuizione, la passione e il sentimento. Senza dimenticare una capacità manifatturiera diffusa, legata spesso a doppio filo con aree geografiche ben definite e oggetto di una conoscenza tacita difficilmente imitabile, e una governance che si alimenta del rapporto fecondo con il territorio e nella quale un ruolo centrale è giocato dalla famiglia dell’imprenditore nel dipanarsi della sua storia generazionale. 
 

Ci sono due modi”, spiega Salvemini, “di raccontare l’originale modello economico italiano: quello dei numeri e quello delle persone. Raccontare il successo della nostra economia attraverso il fatturato e le quote di mercato è un modo per illustrare quanto contiamo nella  competitività locale e globale. Ma a volte, prima dei numeri, sono le persone che ci facilitano la comprensione dei fenomeni complessi come il ‘soft power’ italiano. E nell’economia italiana le persone protagoniste sono soprattutto gli imprenditori, gli artigiani, i possessori di un mestiere, i lavoratori, i fornitori partner, che si misurano con la competizione attraverso i propri progetti di lungo termine, con le loro sensibilità culturali, con i propri stili di direzione, con la loro storia individuale e collettiva, con il loro interscambio con il territorio di origine. E ciò è uno degli aspetti che meglio distingue il Dna italiano da quello straniero. È il principale motore che accompagna nei secoli la trasformazione della nostra industria, con le sue difficoltà ma anche con la sua fierezza. E non solo nei comparti dove il Made in Italy è più evidente, quali gli iconici settori a più elevata estetica come la moda, il design, l’enogastronomia, ma anche dove meno ce lo si aspetterebbe, quali i settori meccanici, elettronici, chimici, dei servizi, e tanti altri. Potremmo aggiungere, nonostante tutto, perché ciò avviene nonostante le crisi che si susseguono e nonostante un sistema politico e amministrativo che non sempre aiuta.  
 

È la testimonianza di un Paese resiliente”, conclude l’autore, “che non demorde, che attraverso continui colpi di reni non abbandona i suoi sogni e continua a reinventarsi con immaginazione e fantasia il proprio futuro”. 


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