Virus più pericolosi del Covid, il cambiamento climatico, tecnologie più intelligenti di noi: nel suo nuovo libro, Ian Bremmer analizza le sfide che incombono sul futuro di un’umanità sempre più in conflitto mentre il tempo per (re)agire diminuisce ogni giorno che passa
“Abbiamo bisogno di crisi grandi abbastanza da terrorizzarci, ma non gravi al punto da annientare la nostra capacità di cambiare”. Lette nei giorni della pandemia e della guerra in Europa, le parole di Ian Bremmer possono suscitare inquietudine e speranza. Da un lato si percepisce la sensazione di vivere un momento tanto decisivo quanto complesso della grande Storia, i cui sviluppi raramente sono apparsi tanto incerti. Dall’altro ci si convince di poter trovare, nelle difficoltà, lo slancio decisivo per invertire una rotta diventata – agli occhi di molti – insostenibile, riscrivendo un nuovo domani. È questo, in fondo, “Il potere della crisi” sul quale si concentrano analisi e riflessioni del noto politologo statunitense, presidente di Eurasia Group e di GZERO Media.
È innegabile che quella in cui viviamo sia un’epoca di straordinarie opportunità. Con la nascita del primo “ceto medio mondiale”, oggi miliardi di persone hanno agi e opportunità superiori a quelli che potevano vantare i re medievali, mentre l’inventiva umana ha raggiunto picchi inimmaginabili anche solo una generazione fa.
Eppure – guardandoci intorno – percepiamo con chiarezza che allo stesso tempo rischiamo la catastrofe. Le conquiste storiche degli ultimi cinquant’anni sono minacciate dall’incapacità dei nostri leader di collaborare per proteggerci da sfide sempre più pressanti e “manifeste”. Mentre il mondo sta ancora lottando per lasciarsi alle spalle gli effetti economici, politici e sociali del Covid-19 e prende posizione di fronte all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Bremmer cerca di ampliare l’orizzonte e ne individua principalmente tre. Quella sanitaria, con la prevedibile lotta a virus più letali e contagiosi del coronavirus che ha innescato l’ultima pandemia. Quella ecologica, con l’intensificarsi del cambiamento climatico il cui impatto non sarà soltanto naturale ma anche economico e sociale, dato che gli sconvolgimenti in atto – se non contrastati – potrebbero generare la fuga di decine di milioni di rifugiati e costringerci a ripensare drasticamente i nostri stili di vita. Infine, la sfida più pericolosa: quella delle nuove tecnologie – da un’intelligenza artificiale sempre più efficiente e pervasiva all’informatica quantistica – che riplasmeranno le società e l’ordine geopolitico destabilizzando i nostri paradigmi più velocemente della nostra capacità di reazione.
Lo scenario è reso ancora più complicato da diversi fattori: le profonde divisioni interne ai Paesi occidentali, Stati Uniti in primis, sfociate nei venti del populismo, e soprattutto il clima da “nuova Guerra fredda” che aleggia ogni giorno più pesante sulle relazioni tra le due superpotenze della nostra epoca, gli stessi Usa e la Cina. Il tutto mentre gli eserciti sono tornati a scontrarsi in Europa, con il rischio che il conflitto tra Russia e Ucraina possa coinvolgere anche altri Paesi. Un triplo ostacolo a quella “cooperazione pratica” e globale che, secondo Bremmer, rappresenterebbe la prima e più potente “arma” di fronte a sfide che non ci attendono, ma sono già tra noi.
La buona notizia? Alcuni leader politici, decisori aziendali e cittadini lungimiranti stanno già unendo le forze per affrontare queste crisi. La domanda è se riusciranno a lavorare abbastanza bene e velocemente e, soprattutto, se sapremo usare queste crisi per reinventare il nostro cammino verso un mondo migliore. Tracciando paralleli tra strategie di ieri, di oggi e di domani – dal Piano Marshall al Green New Deal, passando per l’idea di un’Organizzazione mondiale dei dati in grado di disciplinare l’intelligenza artificiale, la privacy, la proprietà intellettuale e i diritti dei cittadini – Bremmer indica un piano d’azione per sopravvivere e prosperare anche nel XXI secolo.
“La storia ci insegna che abbiamo bisogno di una crisi”, riflette l’autore. “È nella natura umana: abbiamo bisogno che la paura ci aiuti a superare l’inerzia e ad affrontare i rischi a cui abbiamo permesso di diventare fatali. Ecco perché dobbiamo usare le crisi già in atto – le lezioni del Covid, il potere distruttivo del cambiamento climatico e la minaccia esistenziale rappresentata dai vertiginosi sviluppi tecnologici che non comprendiamo – per creare un nuovo sistema internazionale costruito su misura per i nostri scopi attuali e per quelli futuri. Abbiamo bisogno di crisi sufficientemente spaventose da indurci a forgiare un nuovo sistema internazionale che promuova una cooperazione proficua su poche ma cruciali questioni. Le nazioni del mondo non devono diventare amiche o alleate su ogni singolo progetto; la competizione globale può ancora alimentare il progresso dell’umanità. Ma abbiamo bisogno della giusta collaborazione per sopravvivere alle potenziali catastrofi del futuro”.