Egea


 

Nel suo nuovo saggio, il filosofo tech Cosimo Accoto ci invita a rispondere alla provocazione planetaria di senso rappresentata da un’intelligenza artificiale che ci interroga sulle nostre prerogative più profonde (dalla scrittura alla visione, passando per l’autonomia decisionale). Affidandoci a un’innovazione culturale che tracci la via verso un futuro “sovrumano”.



Un pianeta spoglio, cupo e arido, avvolto dal nero dello spazio circostante e con uno scorcio desertico di superficie lunare. Il turbamento che colse il filosofo Martin Heidegger di fronte alla prima immagine della Terra vista dal suo satellite, grazie alla foto scattata macchinicamente dalla sonda orbitale Lunar Orbiter 1 nel 1966, ricorda quello di tanti di noi di fronte agli ultimi, strabilianti, progressi dell’intelligenza artificiale. Quella foto, suggerisce Cosimo Accoto nell’incipit del suo ultimo libro, confermava in realtà quanto il filosofo tedesco già pensava del rapporto di dominazione della tecnica sull’uomo e di sradicamento terrestre della condizione umana. Un orizzonte perturbante, che ora ritorna di fronte ai nostri occhi con le provocazioni – ingegneristiche e culturali – de “Il pianeta latente” che Accoto esplora in una nuova incursione filosofica sotto forma di saggio, edito da Egea e da pochi giorni in libreria.

Erroneamente e a lungo circoscritto alla dimensione tecnologica con le sue ramificazioni economiche, legali, sociali ed etiche, l’assemblaggio che chiamiamo «intelligenza artificiale» si sta finalmente rivelando per quello che è: una provocazione di senso planetaria. Secondo Accoto, infatti, siamo alle prese con una nuova forma d’esistenza, d’intelligenza e di esperienza di un pianeta latente. Latente sia perché il nostro mondo è sull’orlo di terraformarsi “nuovamente” sia perché la latenza è una delle dimensioni fondative dell’intelligenza artificiale generativa (di testi, di immagini, di azioni).

Come per altri passaggi nella storia della civilizzazione umana, con l’avvento dell’IA si scardineranno ordini del discorso, modi di produzione, etiche di conduzione. A questa sfida epocale stiamo faticosamente tentando di rispondere con strategie convergenti: istruzione educativa, regolazione giuridica, conformazione etica, direzione politica. Sono tutte necessarie, naturalmente, ma non sufficienti. Perché ad oggi – sostiene Accoto – la cura approntata per questa ferita narcisistica da politica, educazione, etica e legge è in buona misura di natura narcotica.

È fondamentalmente una strategia sedativa delle inquietudini speciste e palliativa delle criticità tecniche”, scrive l’autore. “I discorsi più comuni ripetono un mantra pressoché unico e consolatorio: l’umano deve rimanere nel loop e in controllo, deve essere al centro e all’apice delle decisioni, deve confermarsi come unica soggettività intelligente, cosciente, senziente. Nella gran parte dei casi – occorre saperlo – si tratta di una forma di narcosi del pensiero. Piuttosto e più radicalmente noi fronteggeremo delle provocazioni intellettuali”.

La prima provocazione – che ci interroga sulla natura dell’umano chiedendoci nuovamente chi siamo e chi diveniamo – si declina poi in molte altre domande: può esistere una scrittura automatizzata senza il senso come accade per i modelli linguistici su larga scala? E una fotografia realistica senza il mondo come avviene per le immagini sintetiche? E un’autonomia decisionale senza l’umano come immaginata dagli agenti artificiali?

In quest’ottica, l’incursione di Accoto si suddivide in tre “esplorazioni” a cui corrispondono altrettanti capitoli: “L’ultima parola” narra della morfosi e del destino della lingua e della scrittura al tempo della presa di parola da parte della macchina. “L’occhio assente” evoca i tempi sorprendenti di una visione automatica senza umani, senza mondo e senza immagini. “L’atto osceno” prefigura l’incognita di un agire autonomo che, tra agenti artificiali e istituzioni algoritmiche, è oltreumano.
Ed è proprio a una concezione “sovrumana” che il libro guarda per cercare di ipotizzare una strada verso un futuro in cui, volenti o nolenti, ci troveremo a convivere con intelligenze artificiali e nuove ingegnerie che stanno dischiudendo domini finora inimmaginabili (dalla computazione quantistica alla biologia sintetica passando per criptosistemi decentralizzati).
Ma se ai problemi tecnici - scrive Accoto - potremo lavorare per trovare una soluzione ingegneristica di qualche tipo (informatica, legale, istituzionale e così via), alle provocazioni intellettuali dovremo invece rispondere con la filosofia, dando vita a una profonda opera di innovazione culturale.

A questo compito più alto siamo oggi chiamati tutte e tutti: alla produzione di nuovo senso e di nuovi significati per questo nostro pianeta latente e poi in futuro, chissà, magari anche per il nostro abitare esoplanetario”, continua Accoto. Una produzione di senso che a partire dall’ardimento delle domande (che annunciano, di fatto, una catastrofe) si faccia carico del compimento delle risposte (che indicano, a bilanciamento, un orizzonte desiderato, preferibile e possibile). Detto poeticamente, dobbiamo allora avere il coraggio di fare pensieri sovrumani. Per significare nuovamente e diversamente l’idea di umano (noto e dato) e promuovere nuovi orizzonti. Più inclusivi, più sostenibili, più giusti, più aperti, più prosperi e more-than-human. Sovrumani per l’appunto e non sovrani”.

Perché, per parafrasare Heidegger, il Pianeta Latente non è più la Terra conosciuta e abitata dall’umano”.

 


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