Viviamo nell’era della simulazione computazionale: per cogliere questo passaggio di civiltà e tornare a capire il mondo dobbiamo affrontare il cambiamento (epocale) in atto con la profondità di visione propria della filosofia. Il nuovo libro di Accoto, advisor culturale, filosofo digitale e ricercatore affiliato al MIT di Boston, ci spiega come provarci
Nel 1972 l’equipaggio dell’Apollo 17 immortalava la Terra come un’immobile biglia blu sperduta nel cosmo nell’iconica immagine diventata nota con il nome di “Blue Marble”. A fine 2021 Nvidia ha annunciato che costruirà Earth-2 (E-2), un gemello digitale del pianeta in grado di effettuare simulazioni computazionali per predire il cambiamento climatico, con l’obiettivo di supportare la lotta alla temuta estinzione del pianeta. A distanza di quasi mezzo secolo sembra un passaggio simbolico che evoca, metaforicamente e materialmente, il distacco epocale in atto tra la realtà che abbiamo imparato a conoscere e “Il mondo in sintesi” esplorato da Cosimo Accoto nel suo nuovo libro. In “cinque brevi lezioni di filosofia della simulazione”, il filosofo digitale – research affiliate e fellow al MIT di Boston, ci accompagna nel racconto sorprendente dei suoi viaggi in nuove terre incognite costruendo mappe culturali, più consapevoli e aggiornate, circa le trasformazioni in atto.
Nel nuovo saggio – che conclude una trilogia iniziata con “Il mondo dato” e “Il mondo ex machina” – Accoto si concentra sull’era della simulazione computazionale: dai volti artificiali dei deep fake alle carni coltivate, dalle predizioni della struttura tridimensionale delle proteine elaborate dall’intelligenza artificiale di AlphaFold ai beni crittografici come gli NFT, dai gemelli digitali e dai media sintetici alle creature biorobotiche (xenobot) passando per le realtà virtuali immersive, i simulatori quantistici e le neuroprotesi. Uno spettro ampio e divisivo di meraviglie per alcuni e di mostruosità per altri, di cui il famigerato metaverso presentato da Marc Zuckerberg rappresenta solo la punta dell'iceberg. Forse, allora, come scrive Accoto non viviamo dentro una simulazione (come pensa qualche filosofo), ma di certo vivremo grazie a queste molteplici simulazioni e sintesi. Di sicuro, comunque, non ci troviamo davanti a semplici illusioni ma a nuove realtà con cui dovremo iniziare a confrontarci seriamente anche da un punto di vista filosofico per capire cosa sia – e cosa sarà – davvero la nostra vita in questi tempi sempre più tecnologici.
Secondo Accoto, infatti, queste sorprendenti e talvolta arrischiate ingegnerie simulacrali non possono essere derubricate a contraffazioni. Al contrario, tra potenzialità e vulnerabilità, assemblano un nuovo catalogo del reale. Danno vita a un pianeta ricreato e popolato da entità, esperienze ed ecologie generate – a vario titolo e senso – attraverso simulazioni computazionali. Tra inconsuete mimesi e singolari genesi, tra simulazioni e sintesi, ci troviamo nel bel mezzo di un’improvvisa produzione di nuove, strane nature. È un rinnovato modo di essere e di divenire (abitato) del nostro pianeta: una nuova “terraformazione”, insomma, che può essere compresa solo se viene indagata per quello che è.
Per cogliere questo passaggio di civiltà, tuttavia, dobbiamo osservare questo nuovo mondo simulato e sintetizzato con la profondità di visione propria della mente filosofica, fondamentale per esplorare l’attualità tecnologica collocandola in un orizzonte di senso più ampio, aperto, ma anche cauto, denso e altro rispetto ai discorsi comuni e alle prassi correnti.
“Se abbiamo smesso di capire il mondo è proprio perché il mondo si è rifatto, direi, ontologicamente”, commenta Accoto. “E anzi, argomenta qualcuno, lo stiamo rifacendo proprio per capirlo meglio. L’obiettivo di quest’ultima investigazione è principalmente quello di evidenziare e scandagliare i molti sensi e i vari modi di un mondo che diviene simulabile. Perché oggi è attraverso la simulazione e la sintesi che il mondo diviene. Dico, allora, che forse non viviamo dentro una simulazione, ma di certo vivremo grazie a una simulazione; o meglio, in ragione di molteplici simulazioni e sintesi. Il gemello digitale di una città la renderà finalmente più vivibile, inclusiva e sostenibile? Un organismo bioingegnerizzato ci potrà aiutare a contrastare l’inquinamento? Una simulazione quantistica saprà migliorare il consumo energetico di logistica e trasporti? Il design sintetico di nuove medicine riuscirà a curare più efficacemente malattie e disfunzioni? Gli avatar nel metaverso serviranno ad aumentare le nostre creatività ed esperienze? Sapremo costruire organizzazioni più aperte, democratiche e decentralizzate con l’immaginazione crittografica? Se «la simulazione è la risposta» allora, come ha scritto il filosofo Derrida nei suoi Seminari, dobbiamo assumerci planetariamente «la responsabilità della risposta»”.
Perché la tecnologia (digitale, artificiale e infine anche sintetica) non è né buona né cattiva. Così come può allontanarci dall’essenza più profonda della realtà può anche aiutarci a comprenderla più a fondo. E, forse, a salvarla.