Secondo Chris Anderson, direttore di TED, Internet può mettere il turbo alla generosità e la generosità può trasformare Internet. In un saggio brillante, ci spiega come illuminare la rete – e le vite di tutti noi – valorizzando il potenziale di un istinto troppo a lungo trascurato.
«Il male è più forte del bene», titolava un articolo del 2001 di Roy Baumeister e colleghi diventato un classico della psicologia sociale. Lo studio dimostrava che in molte aree della psicologia gli aspetti oscuri della vita hanno un impatto più forte e più duraturo di quelli positivi. Sembra fin troppo facile applicare questa intuizione alla realtà che ci circonda oggi: non solo nelle sue manifestazioni concrete – guerre, catastrofi naturali, diseguaglianze economiche – ma anche nella sua narrazione su media e social. Eppure, cambiare si può. Se è vero come è vero che la presa di coscienza di un problema è il primo passo verso la sua soluzione, una volta riconosciuti i nostri comportamenti tossici possiamo anche impegnarci per modificarli. E un aiuto può arrivare da un altro istinto umano, oggi fin troppo sottovalutato ma con un potenziale tanto grande da poter rivoluzionare la nostra concezione del mondo: quello verso la “Generosità contagiosa”, raccontato da Chris Anderson in un libro portato in Italia da Egea.
Direttore di TED, nonché ideatore della formula con cui i "Talks" sono diventati un fenomeno globale, Anderson è un esperto della capacità di diffondere le idee nel mondo in modo “contagioso”. Il suo saggio ruota attorno a due concetti complementari, che si alimentano a vicenda: Internet può mettere il turbo alla generosità e la generosità può trasformare Internet.
Il ragionamento di Anderson parte da un concetto semplice ma – per alcuni – sorprendente. La carica virale della generosità non dipende solo dalla connettività dell’era moderna, ma anche da un elemento troppo spesso trascurato: la stessa natura umana. Difficile crederlo in tempi cupi come i nostri, eppure a dirlo è la scienza. Gli studi in ambito di psicologia e biologia parlano chiaro: non siamo solo creature egoistiche interessate al proprio benessere (e alla propria sopravvivenza). Al contrario, la nostra storia come specie sociale ci ha portati a evolverci per essere generosi e per rispondere alla generosità, sia come destinatari che come semplici testimoni. Certo, gli istinti “generosi” sono fragili e rischiano di soccombere di fronte a paura, rabbia e indignazione.
Devono essere irrobustiti e bene indirizzati. Per questo abbiamo bisogno del nostro “io riflessivo”. E, in questo, l’Internet che abbiamo costruito non aiuta.
Oggi ci troviamo in una situazione per certi versi paradossale. Da un lato, siamo più che mai dipendenti dalle grandi aziende tecnologiche. Dall’altro, siamo giunti all’apice della consapevolezza sulle insidie insite nelle big tech. Dopo anni di speranze e di entusiasmo, Internet sembra piombata in una spirale di tossicità, e le sue capacità più efficaci sembrano quelle di pubblicizzare prodotti e servizi, profilare gli utenti, fomentare invidie e divisioni e rendere virali informazioni superficiali, talvolta perfino false. Se la civiltà umana poggia sulla fiducia e sulla cooperazione, in questo momento il web sta erodendo questa fiducia più di quanto non contribuisca a costruirla.
Secondo Anderson, il problema fondamentale dietro la distruzione della fiducia sotto gli occhi di tutti è legato alle piattaforme di social media. Queste sono state progettate sulla base di una comprensione pericolosamente ingenua della natura umana, ovvero la convinzione che per creare qualcosa che piacesse alla gente bastasse ottimizzarla in base alle «preferenze degli utenti». Il problema è che l’impatto delle nostre preferenze dipende in tutto e per tutto da quale parte di noi viene attivata. E le piattaforme in questione fanno prevalere il nostro io istintivo su quello riflessivo, in un consumo sempre più rapido di contenuti coinvolgenti. Un processo disfunzionale per la nostra capacità di attenzione, selezione e azione.
Da “uomo del web”, Anderson non rinuncia ad affrontare la sfida di una rete più sana e nel saggio condivide diverse proposte destinate alle Big Tech e in particolar modo alle piattaforme social. Con un obiettivo ben chiaro in testa: aggiustare Internet per ridare maggiore potere al nostro io riflessivo.
E poi ci siamo noi, i singoli individui. Ed è qui che entra in gioco la mentalità della generosità. In ogni ambito della vita umana, d’altronde, l’antidoto per non farci dominare dai nostri istinti è coltivare abitudini sane. “Per farlo”, spiega Anderson, “c’è bisogno del deliberato intento di svolgere un ruolo costruttivo. Invece di un passivo «Che cosa posso ottenere da Internet?», dobbiamo chiederci in maniera attiva e intenzionale «Che cosa posso dare a Internet?». Siete solo uno tra gli svariati miliardi di utenti, ma la vostra goccia nell’oceano può diventare un’onda”.
Da dove iniziare? Nel saggio, Anderson condivide un un elenco di primi compiti, semplici ma di impatto:
• ricercare attivamente storie di gentilezza umana tra le persone intorno a noi, condividirle online e incoraggiare gli altri a fare lo stesso;
• amplificare le ispirazioni, le possibilità e le soluzioni, invece del sarcasmo e dello sdegno;
• uscire dalla nostra bolla di filtraggio scegliendo di seguire persone al di fuori della nostra cerchia e interagendo con loro in maniera rispettosa;
• ringraziare chi ha fatto qualcosa che abbiamo apprezzato, celebrare le persone creative o coraggiose, sostenere chi ha bisogno di un po’ di supporto morale. E, se qualcuno ci tratta male, rispondere con grazia;
• valutare la possibilità di passare a spazi online incentrati su comunità più piccole e mirate;
• in qualsiasi gruppo social che creeremo online, esplicitare che esso ha concordato di utilizzare uno stile di comunicazione riflessivo, chiaro e compassionevole. E dare l’esempio;
• creare qualcosa di valore per noi (scrittura, fotografia, arte, software, musica o video) e donarlo;
• valutare di sostenere finanziariamente i siti web che cercano di far da cassa di risonanza alla positività.
“È possibile immaginare un altro tipo di Internet”, conclude l’autore. “Quello che un tempo molti sognavano. Un Internet pervaso dalla generosità. Un Internet che dia conoscenza, visibilità e speranza al nostro pianeta. Ciò di cui abbiamo disperatamente bisogno è avviare un circolo virtuoso in cui la crescente visibilità di una versione più generosa dell’umanità ispiri ognuno a fare la propria parte per contribuire al bene comune”.