Nel libro “Fiducia sostantivo plurale”, Sergio Sorgi e Francesca Bertè analizzano le macro aree della nostra vita a cui la fiducia può essere applicata, ne individuano le diverse forme e condividono una raccolta di spunti teorici e pratici per esercitarla consapevolmente
Perché (non) ci fidiamo degli altri? Perché alcuni di noi si fidano anche in contesti apparentemente minaccianti e altri sviluppano forti diffidenze in situazioni che sembrerebbero prive di rischi? Quanto c’è di oggettivo nel fidarsi e quanto di soggettivo?
La fiducia è il pavimento che accelera oppure frena tutto quello che sentiamo e facciamo; senza fiducia non potremmo nemmeno alzarci dal letto la mattina. Non tutto ciò che ci circonda e succede, però, può essere vagliato in modo meticoloso: abbiamo energie e tempo limitati e non ne verremmo a capo. Nel libro “Fiducia sostantivo plurale”, Sergio Sorgi e Francesca Bertè analizzano tre grandi famiglie di oggetti a cui la fiducia può essere applicata – le organizzazioni (e in particolare le istituzioni), il mondo professionale, le persone (gli altri e noi stessi) – ne individuano le diverse forme e condividono una raccolta di spunti teorici e pratici per esercitarla consapevolmente nella nostra vita quotidiana, a cominciare dal nostro rapporto con gli altri.
Secondo l’analisi di Sorgi e Bertè - rispettivamente esperto di welfare e politiche sociali e sociologa - la famiglia delle fiducie personali si compone di dieci elementi.
Il primo tratto che ci fa meritare o scegliere di fidarci di una persona è l’empatia, ovvero la capacità di porsi nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, e comprendere i processi psichici dell’altro – che è cosa ben diversa dal condividerli. La persona empatica sente con me, non come me, e l’empatia non consiste nel mettersi nei panni altrui ma nel sentire come l’altro si sente nei propri panni.
La seconda fiducia personale mette in gioco la coerenza, interna ed esterna. La coerenza interna consiste in un’impostazione teorica solida mentre quella esterna indica che da una persona possiamo aspettarci comportamenti affini con l’immagine che di quella persona abbiamo. Essere coerenti non significa essere immutabili ma riconoscibili, seguire una direzione di fondo che non sia continuo oggetto di sorprese.
Il terzo tipo di fiducia riguarda la verità ed è, secondo gli autori, “rilevante e ineliminabile. Una persona della quale ci fidiamo”, sostengono Sorgi e Bertè, “non dovrebbe mentire, mai. Si può sapere o non sapere qualcosa, avere ragione o torto, ma la menzogna è quasi sempre irreversibile e nemmeno mentire a fin di bene è ammissibile tra adulti, perché il fine non giustifica i mezzi”.
La quarta ramificazione delle fiducie personali conduce al tema delle conoscenze e competenze. Ci fidiamo di una persona se ha competenze affini a quello che le chiediamo in termini di ruolo. Nelle relazioni private ci fidiamo di qualcuno se ha sperimentato situazioni come la nostra. Nel mondo professionale, invece, le competenze possono essere tecniche o relazionali. Le prime sono necessarie, le seconde possono facilitare l’interazione ma non sono sempre essenziali.
La relazione è alla base della quinta fiducia personale, che riguarda l’intenzione di collaborare e il tipo di rapporto che il richiedente fiducia intende instaurare e mantenere con noi. La collaborazione può assumere dimensioni verticali o orizzontali. La collaborazione è verticale se di tipo paternalista, ossia gerarchica e non partecipativa. Secondo gli autori, però, “la collaborazione autentica è orizzontale ed educativa, mette in comune, si pone al servizio di una crescita, non ha un piano predefinito perché presuppone che si decida e agisca assieme”.
La sesta fiducia personale riguarda la decisione, l’autonomia che permette di decidere e la capacità di attivare un cammino. La capacità di decidere non va confusa con l’assenza di dubbi: ogni persona dotata di sensibilità e intelletto affronta l’incertezza ponendosi domande, cercando risposte e approfondendo. Alla fine però bisogna agire.
La settima fiducia personale riguarda il rispetto: comprende una corretta educazione alla convivenza civile e stimola le capacità e le competenze di ciascuno, senza pregiudizi. Il rispetto prevede il riconoscimento dei diritti individuali e della dignità altrui, da cui deriva l’obbligo di astenersi da atti offensivi e lesivi.
L’ottava fiducia personale riguarda la trasparenza, che consiste nel “lasciar passare luci, ombre e penombre di un contenuto come se ci fosse un vetro, senza alterarne il significato”. Essere trasparenti significa rappresentare apertamente che cosa si sa e non si sa fare e che cosa l’altro non deve aspettarsi, saper esporre timori e imperfezioni.
La nona fiducia personale è legata ai risultati. Chi chiede fiducia dovrebbe aver ottenuto risultati positivi nello specifico dominio di competenza. Inoltre, suggeriscono gli autori, “eviteremmo di affidarci a teorici che non hanno mai messo in pratica le loro elaborazioni intellettuali, ma anche a ‘praticoni’ che ottengono risultati grazie a espedienti o capacità artistiche personali e che non offrono garanzie sufficienti sulla riproducibilità del loro modo di agire”.
La decima fiducia personale consiste nel disporre di un approccio integrato ai problemi: “Non ci si può fidare di chi fa il proprio compitino e poi ci lascia per strada perché il chilometro seguente non è di sua pertinenza”, commentano gli autori, ”e non si è del tutto buoni genitori o partner se ci si accontenta del mantenimento economico ma non si dedica sufficiente tempo ai propri affetti”.
In ogni caso, secondo Sorgi e Bertè, “le fiducie personali andrebbero esaminate congiuntamente e hanno pesi diversi tra loro. Le fiducie alle quali prestiamo maggiore attenzione sono quelle valoriali (empatia, verità, rispetto, intenzione collaborativa) perché privilegiamo chi condivide valori di fondo affini ai nostri. L’esempio più immediato che conforta questa tesi riguarda le modalità con le quali accettiamo richieste di contatto sui diversi social media: selezioniamo, infatti, persone con le quali condividiamo gusti e valori”. Eppure, “fidarsi di una persona non vuol dire affatto andarci d’accordo. L’importante è che i disaccordi siano rispettosi e non sconfinino mai nella messa in discussione del valore intrinseco dell’altro. Non dobbiamo fidarci di chi vuole compiacerci ma di chi è profondamente interessato a noi. In questo senso, l’eccesso di assenso e di consenso è inutile, e non aggiunge molto al nostro cammino”.