Egea

 

Che si tratti di guidare un team o crescere dei figli, la nostra leadership sembra ogni giorno meno efficace. Nel suo nuovo saggio, Alessandro Cravera ci invita a cambiare il nostro modo di intendere una realtà incerta, paradossale, ambigua, influenzata dal contesto culturale e dalle emozioni del momento. Per imparare a esercitare un impatto positivo su di essa.



Politici incapaci di fornire risposte convincenti alle sfide economiche e sociali che interessano la popolazione.  Manager egocentrici e narcisisti più interessati a raggiungere i propri obiettivi che alla crescita di un’organizzazione. Media autorevoli che si prestano a operazioni di dubbio valore, con l’unico scopo di attirare qualche clic in più e riuscire a sopravvivere economicamente. Famiglie alle prese con una crescente difficoltà a esercitare un’influenza positiva sull’educazione e la crescita dei ragazzi. Nell’era dell’informazione e della “formazione” – in cui teoricamente dovremmo avere a disposizione tutto quello che ci serve per prendere le migliori decisioni – la nostra leadership risulta sempre meno efficace. È un mondo “difficile” a metterci i bastoni tra le ruote? O sono le nostre idee a non essere adeguate a uno scenario in (più che) rapido cambiamento? Nel suo nuovo saggio, edito da Egea, Alessandro Cravera riflette su cosa voglia dire “Essere leader in un mondo complesso”. Invitandoci a cambiare il nostro modo di intendere la realtà che ci circonda e il nostro ruolo all’interno di essa.

Fondatore e senior partner di Newton S.p.A oltre che membro della Faculty dell’Executive MBA di ALTIS Università Cattolica e 24 Ore Business School, dove insegna Leadership e sviluppo manageriale, Cravera si occupa di questi temi da quasi trent’anni ed è consapevole della loro sensibilità a mode e teorizzazioni mutevoli. Per questo, si avvicina al concetto di leadership inquadrandolo storicamente e culturalmente, mostrando come la nostra concezione attuale sia ancora profondamente legata a modelli che affondano le proprie radici in un passato in cui a una popolazione condizionata da un alto tasso di analfabetismo e scarsa disponibilità di informazioni non restava altra scelta che affidarsi a “uomini forti”. La rivoluzione illuminista, in questo, ha solo mescolato le carte: in un mondo cresciuto nel mito della conoscenza oggettiva e della ragione come misura di ogni cosa, il potere è passato nelle mani di coloro capaci di distinguersi per razionalità e conoscenza.

Nonostante risulti difficile da accettare, tuttavia, quel mondo non esiste più: la realtà in cui ci muoviamo oggi è incerta, paradossale, ambigua, influenzata dal momento, dalle emozioni, dal contesto culturale, dalle abitudini, dai valori, dalle prassi, dalle personalità. La vita si sviluppa su traiettorie che c’entrano ben poco con la razionalità. È una danza continua o, per chi preferisce, “un gioco infinito” in cui ogni mossa è irrimediabilmente legata alla successiva e nessun risultato è fine a sé stesso. Non esistono vittorie o sconfitte definitive, insomma, ma solo nuove partite da giocare.

La nostra concezione di leadership non si è ancora adattata al nuovo contesto. Oggi consideriamo leader chiunque abbia un ruolo di comando e/o riesca a creare un gruppo di follower che risponde alle sue indicazioni. Al di là dei diversi stili personali, vediamo il leader come colui che detiene un potere formale o che indica una direzione da seguire e crea seguaci al suo seguito. Non importa se il fine e la direzione intrapresi siano etici e sostenibili o dalle conseguenze drammatiche. In entrambi i casi la persona con una schiera di follower è considerata un leader: positivo o negativo che sia. Secondo Cravera, questa ambiguità è troppo pericolosa, e non può continuare. Anche perché, in un mondo interconnesso e interdipendente come quello attuale, ogni strategia adottata da chi ha un ruolo di guida può avere effetti sistemici molto più ampi rispetto al passato.

Siamo soliti attribuire a un leader la capacità di ispirare e influenzare gli altri, e la scelta della direzione da prendere e del modo per raggiungere un certo obiettivo”, spiega l’autore. “Il primo aspetto pesa però enormemente di più rispetto al secondo. In sostanza, tendiamo a fidarci di persone che sanno guidare anche se sbagliano la direzione in cui ci portano. E non consideriamo leader le persone che non sono interessate a creare schiere di seguaci, ma sanno prendere decisioni, giuste, etiche, sostenibili e che favoriscono un’evoluzione positiva del contesto in cui si muovono. È ora di invertire i fattori”.
Di fronte a un mondo più complesso ma in cui abbiamo a disposizione una maggiore quantità di informazioni, può essere considerato leader solo chi determina un’evoluzione positiva del sistema di cui fa parte. Perciò l’esercizio della leadership deve acquisire consapevolezza della complessità, deve affinare e arricchire le sue competenze. Ma, soprattutto, la leadership deve diventare saggia: contestuale, orientata al bene comune, in grado di bilanciare gli interessi in gioco e gli effetti nel tempo e capace di trasformare il contesto in cui si esercita portandolo su una traiettoria di evoluzione positiva e sostenibile.

La mia opinione è che chiunque operi in questa direzione stia esercitando una forma di leadership sul sistema”, aggiunge Cravera. “Nel caso abbia un ruolo formale sta agendo come una sorta di architetto sociale: con le sue azioni e decisioni contribuisce a generare un contesto che favorisce l’emergere di alcuni comportamenti rispetto ad altri e la direzione che alcune interazioni potrebbero determinare. Ma esprime una forma di leadership anche chi, come agente di una rete interconnessa, promuove relazioni e interazioni che aiutano il sistema a intraprendere una direzione etica, sostenibile e orientata al bene e alla sostenibilità futura”.

La nuova leadership, insomma, diventa diffusa e condivisa e appartiene a “chiunque eserciti un’influenza positiva sul sistema in cui è inserito, indipendente dal ruolo e dalla responsabilità che ricopre”. Continuando il gioco, per tutti.

 


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