Nel libro “Comunicazione artificiale”, la sociologa ci invita a osservare le macchine da un punto di vista diverso da quello comune: quello del processo comunicativo. Sul quotidiano Domani un estratto del testo, qui un’anteprima.
(Domani) – I recenti algoritmi che lavorano con deep learning e big data stanno diventando sempre più bravi a fare sempre più cose: generano informazioni in modo rapidissimo e preciso, stanno imparando a guidare le macchine in maniera più sicura e affidabile degli autisti umani, sanno rispondere alle nostre domande, fare conversazione, comporre musica, leggere libri e scrivere testi interessanti, appropriati e – se occorre – anche divertenti.
Nell’osservare questi progressi, però, difficilmente siamo del tutto rilassati, e non solo perché ci preoccupiamo dei bias, degli errori, delle minacce alla privacy o delle possibili intenzioni maligne delle aziende o dei governi. Anzi, più gli algoritmi diventano bravi, più aumenta il nostro disagio.
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