La crisi dell’euro ha portato a un sovvertimento sismico nella distribuzione
del potere all'interno dell’Europa. A partire dai problemi finanziari che hanno
afflitto in modi e misure diverse Grecia, Irlanda, Spagna, Italia e altri paesi
dell’eurozona, è venuta allo scoperto una guerra fra differenti filosofi e
economiche, quella tedesca e quella francese.
Alla prima fanno riferimento Austria e Finlandia (con Slovacchia e Polonia che
sembrano più tedesche dei tedeschi), mentre la Francia è a volte vista come
campione dell’Europa mediterranea. Uno scontro di idee e di ricette: regole vs.
discrezionalità, responsabilità vs. solidarietà, austerità vs. stimoli alla crescita.
Queste differenze avevano avuto un ruolo importante già a cavallo tra gli anni
Ottanta e Novanta, durante i negoziati di Maastricht. È stata proprio la crisi
finanziaria globale a riaccendere il dibattito. I paesi creditori e debitori erano
impegnati in un gioco strategico, gli uni e gli altri convinti che la controparte
avesse tutto l’interesse a evitare il crollo del sistema; perciò la strategia
di tener duro fino all'ultimo e spingersi sul ciglio del precipizio appariva
plausibile e premiante. In questo modo, l’interazione tra le idee e la riflessione
strategica sugli interessi ha condotto l’Europa a un passo dall'abisso.
Per gli autori l’analisi delle differenze ideologiche può creare la possibilità
di trovare un terreno comune, o quanto meno di comprendere meglio
le posizioni altrui, contribuendo così alla soluzione della crisi.